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lunedì 4 gennaio 2010
Aspettando il panevin
Il PANEVIN si celebra la notte del 5 gennaio e le sue origini sono sicuramente antichissime, sembra che questa usanza risalga ai riti celtici: essi infatti accendevano dei fuochi per ingraziarsi la divinità relativa e bruciavano un fantoccio rappresentante il passato, fu poi influenzato dalla fede cristiana che ne ha voluto vedere il mezzo per illuminare la via ai Re Magi che si erano smarriti.
Originariamente celebrava col fuoco il solstizio d’inverno che, secondo il Calendario Giuliano, cadeva il 25 dicembre; tale evento coincise in seguito col giorno della nascita di Gesù ed infine fu spostato di 12 giorni alla vigilia dell’epifania.
Simboleggia la speranza e la forza di bruciare il vecchio (non a caso si può bruciare la "vecchia" posta sopra la pira di legna) e la direzione delle scintille viene letta come presagio per il futuro: in Veneto se si dirigono verso est ci sarà buona sorte nei mesi a venire, se si dirigono verso ovest sarà tempo per andare in cerca di fortuna.
Si noti allora il proverbio se le fuìve le va a matìna, ciòl su'l sàc e và a farina; se le fuìve le va a sera pàn e poènta fa piena a caliera ("se le faville vanno a oriente, prendi il sacco e va a farina; se le faville vanno a occidente, pane e calderone pieno di polenta").
Mentre il falò ardeva, i contadini in cerchio gridavano e cantavano varie formule augurali. Il rogo viene talvolta benedetto dal parroco con l'acqua santa e lo scoppiettare del fuoco veniva identificato con il demonio infuriato che fuggiva.
Il panevin è composto da un cumulo di tralci secchi, sterpaglie, legna e quant’altro un tempo era inutile e destinato ad essere bruciato; può essere alto fino più di 10 metri, con la base circolare con diametro 7 - 8 metri.
Spesso sulla sommità del panevin viene posto un fantoccio dalle sembianze di una vecchia signora, chiamata "vecia" responsabile di tutti i malanni e sfortune dell'anno appena passato.
Il rito dei fuochi è anche un momento in cui la comunità si raccoglie per stare in compagnia. Viene accompagnato dalla degustazione di vin brulè e di pinza, focaccia tipica di questa festa e cotta talvolta tramite gli stessi roghi. Attualmente, per l'occasione possono venire organizzati spettacoli pirotecnici.
Parlare di PANEVIN per me è dire della mia famiglia.
Da quando sono nata ho sempre partecipato al panevin che costruiva mio papà a casa nostra, prima da osservatrice bambina in cui ogni catasta mi sembrava una montagna, poi col passare degli anni anche da costruttrice aiutando.
Fare il panevin significa bruciare i “cavi” della vite, residuo delle potature invernali che sono stati seccati dalle intemperie che in qualche modo scacciavano anche le disgrazie dell’anno passato per accattivarsi quelle dell’anno nuovo.
Fare il panevin significa soprattutto ritrovarsi in compagnia, guardando la catasta che brucia e intonando la canzone propiziatoria per far si che i sacchi siano pieni di farina, e poi bere un buon bicchiere di “brulè” e mangiare una fetta di pinza o di salame fresco cotto sempre assieme.
Il nostro panevin una volta veniva fatto mettendo i tralci secchi con la forca: mio papà e i suoi amici iniziavano il giorno prima dell’accensione e su col lavoro di forca, accatastando bene il tutto attorno ad un palo di solito di acacia.
Ora usiamo un ragno per poter essere più veloci e poi quando questo non arriva più su si prosegue a suon di forche.
Non so mai che altezze abbiamo raggiunto, mai quelle mostruose di certe cataste altissime, però i 10 metri si, con bei diametri.
Poi c’è la preparazione della “veccia”, ovvero il fantoccio: usiamo una tuta da lavoro vecchia, riempita di fieno o paglia, fatta che sia bella cicciona e poi addobbata con scarpe vecchie, un ombrello, un reggiseno vecchio, qualche scatola di panettone di carta vuota, un cappello…. Non c’è limite alla fantasia, poiché questa operazione viene fatta assieme ai bambini che abitano vicino a casa mia e si sa che la loro fantasia è grande.
Quando il mucchio è fatto si attende con impazienza il momento in cui lo si accenderà, operazione che verrà fatta dal bimbo più piccolo presente assieme ad un adulto, sempre come segno di qualcosa che continua. L’attesa è fatta di tanti giri attorno a casa per controllare che nessuno gli dia fuoco prima di noi, sia mai!
Infine eccoci: acceso!! E vai di canti, risate, petardi, a volte qualche fuoco d’artificio fino a quando il fuoco non riscalda la faccia fin quasi a bruciarla, e poi festa in taverna fino a quando non ci si stanca.
Tra la gente che fa festa con noi ci sono anche le mie zie che assieme a me preparano la calza per le bambine più piccole che ho come vicine di casa: due piccole pesti che il giorno seguente resteranno a bocca aperta vedendo penzolare sotto la cappa del camino della stufa a legna un paio di calze ripiene di dolci, tutoli di pannocchia, noci, nocciole, mandarini, carrube, fichi secchi.
Calze ripiene di regali che si facevano una volta, quando non si era ricchi come oggi.
Regali preparati dalle zie con gli occhi brillanti, come se fossero loro stesse bambine.
Evviva il PANEVIN!!!!
El pan e vin
‘a vecia su pal camin
‘a magna i pomi còti
‘a me ‘assa i rosegòti.
Poénta e figadèi
Pà i nostri tosatèi.
El pan e vin
A pinza sul larìn
A pòenta sua gàrdea
E viva a vecia meneghèa
Co tre puldi in scàrsea!
El pan e vin
A vecia sul larin
A luganega sua gàrdea
Evviva a vecia meneghèa
Co tre puldi in scàrsea!!
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