Ho fatto questa cartina per far capire come siamo posizionati riguardo al fiume: spalle alla cantina, alla nostra destra abbiamo la ferrovia Treviso-Portogruaro che passa a meno di 1 km in linea d’aria, alla nostra sinistra abbiamo la S.S. Postumia che collega Treviso a Portogruaro distante circa 1,5 km. Davanti a noi abbiamo il centro del paese e di conseguenza anche l’argine di contenimento del Piave.
Tutto questo per dire che si, forse da noi l’acqua non arriva… NO, arriva e anche veloce.
L’acqua da noi arriva eccome se l’argine si rompe come nel 1966, esattamente se prendiamo come riferimento quell’annata, qua ci sono 2 metri di acqua.
Il Piave nel 1965, precisamente a settembre, aveva dato segnali preoccupanti lambendo la sommità degli argini; il 4 novembre del 1966 alle 22 e 30 ha rotto quegli stessi argini riversando nelle campagne milioni di metri cubi di acqua.
Fortunatamente ha rotto tutti e due gli argini, sennò saremmo stati sotto di boh… 4 metri?
Papà si ricorda bene quei giorni del prima-durante-dopo, si ricorda lo scirocco dei giorni prima e ricorda le ricognizioni sopra all’argine, i sacchi riempiti con la sabbia per tentare di contenere quello che sarebbe stato l’incontenibile, l’acqua che “gli correva dietro” mentre con la bicicletta tornava a casa, che le alluvioni vengono sempre di notte, che l’acqua sente la luna.
Papà si ricorda di quello che ha salvato: un armadietto della cucina con il gas, la bombola, e due pacchettini di minestrina; l’uvetta sotto grappa (queste cose portate al secondo piano in velocità dalle sorelle); una vitellina piccola già svezzata portata anche quella nel solaio; il cane e il gatto che nel solaio ci sono andati da soli.
Erano in quel solaio mio papà, mia nonna, 2 zie, una vicina incinta e le sue 2 figlie piccole, il cane, il gatto e la vitella, si parlavano poco tra bestie bambini e grandi.
Si sono parlati con il vicino, marito della donna incinta, dai balconi di casa prima urlando, poi parlando normale che tanto il silenzio regnava sovrano.
Si ricordano bene l’acqua che sembrava mare ed il gusto dell’uvetta centellinata data alla Patrizia che era la più piccolina, la vergogna di dire alle persone mandate con una barca a vedere come stavano che “non serviva niente, abbiamo abbastanza” e quell'abbastanza era un pugno di minestra fatta con un pò di dado e l'acqua della cisterna sopra al tetto di casa..
Perchè eravamo poveri di sostanza, non dentro, nell'anima... ed orgogliosi di non chieder niente a nessuno, mai.
Si ricorda bene quando l’acqua ha iniziato a defluire e sono apparsi gli animali gonfi di acqua: vacche, maiali, polli, cani “di non si sa chi”; il fango limoso che ha sommerso tutto, che si è portato via un pezzo di quel ricovero accanto alla casa, che non ha fatto più andare bene la bcs che sega l’erba. E le pulizie dentro casa e fuori.
Avevano perso tutto il perdibile nel 1966, e agli occhi del ragazzo ventenne che era mio padre è rimasto impresso bene il disastro; come la bontà del parroco che gli ha regato un giubbotto rosso e nero arrivato dalla croce rossa (lo stesso che ha Luigi lo Cascio in una scena della Migliore Gioventù quando sono in una Firenze alluvionata) e l’aiuto di stato che si è tradotto in una manza per la stalla.
Questo era il ‘66.
Questo è il Piave il 2 novembre 2010, 44 anni dopo in una foto fatta dai vigili del fuoco che sorvolano il ponte.L’ho postata in fb ed alcuni amici si sono spaventati per l’acqua che non è uscita, ma che era allo stesso livello del ‘66, perchè casa nostra è in basso a dx della foto ma non appare in foto.
In quei giorni, ma anche ora a dirla tutta che piove, il mio pensiero è andato spesso a come poter mettere al sicuro quello che abbiamo ora che son passati 44 anni. Non si tratta più della bcs (che poi esiste ancora ed è funzionante sempre non al massimo), ma di trattori; non si tratta più del mobiletto della cucina ma di bottiglie, botti con vino, scatoloni, attrezzi vari. Non si tratta di poche cose ma di tutto quello che ha una famiglia nel 2010: frigoriferi, congelatori, pc, documenti ecc.
Ho pensato che dal ‘66 è cambiato poco: noi siamo sempre nello stesso posto, con la ferrovia e la statale che fanno da argini ed in un “buco” dove l’acqua arriva a 1,80 di altezza. Dove non c’è nessuno sfogo per l’acqua perché li hanno chiusi tutti.
Non ho fatto il conto degli ipotetici danni, perché non mi fascio la testa prima dell’ora, però capisco bene chi ha perso tutto tra Vicenza, Padova e Verona.E capisco la loro dignità di rimboccarsi le maniche, la stessa dignità che nel 66 avevano i miei compaesani quando l’allora Presidente della Repubblica Saragat venne in visita al paese.
Papà non lo vide, c’era da pulire e riordinare il disastro… la stessa cosa che fanno dove hanno avuto tutta quell’acqua.
Un altro ‘66 per il momento è stato schivato, almeno qui, ma questo non significa abbassare la guardia: serve prevenire.
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